Onorevoli Colleghi! - L'affidamento condiviso dei figli è stato previsto da una legge recente (legge 8 febbraio 2006, n. 54), che la Camera dei deputati ha approvato con voto pressoché unanime in data 7 luglio 2005 e che il Senato della Repubblica ha pure approvato concordemente pochi mesi dopo, pur senza aver avuto il tempo di introdurvi le modifiche che a molti erano apparse utili, perché finalizzate a stabilire la priorità dell'affidamento a entrambi i genitori, rendendo tale opzione ancora più esplicita. Tuttavia, per l'esiguità del tempo residuo, che metteva a rischio l'intero provvedimento, nessun cambiamento fu introdotto e ci si dette - per così dire - appuntamento alla legislatura successiva per il completamento dell'opera.
      La presente proposta nasce da tale impegno e tiene conto delle disfunzioni applicative evidenziatesi dopo l'entrata in vigore della legge n. 54 del 2006, e segnalate, in particolare, dall'associazione nazionale «Crescere Insieme» (Marino Maglietta, Quelle interpretazioni sull'affidamento condiviso che rischiano di pregiudicarne le finalità, Editoriale di Guida al diritto, (11) 2006, pagina 11; e L'affidamento condiviso. Guida alla nuova legge, Franco Angeli Editore, 2006), che si era intensamente attivata anche per la formulazione e l'approvazione della riforma.
      Occorre ricordare che nel mondo occidentale il principio della bigenitorialità viene affermato e applicato con sempre maggiore vigore e incisività, poiché contiene in primo luogo l'affermazione di un

 

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diritto del minore, del quale il minore stesso può essere privato solo in casi assolutamente eccezionali e circoscritti. In Italia faticosamente, con un lavoro di quattro legislature, si è riusciti a far passare come forma privilegiata l'affidamento condiviso; ciò nonostante la sua concreta applicazione continua ad incontrare sensibili ostacoli, non a causa di una cattiva risposta dell'utenza (ad esempio di un dilagare della conflittualità che, si sosteneva, avrebbe dovuto paralizzare i tribunali), bensì a causa di resistenze culturali degli «operatori», peraltro favorite in alcuni casi da oggettive difficoltà di lettura del testo, mancando in alcuni fondamentali passaggi la inequivoca prescrittività delle norme.
      In effetti, il primo anno di applicazione della nuova legge ha consentito di osservare una estesa disomogeneità dei provvedimenti, che non riguarda soltanto gli aspetti in cui la norma può effettivamente presentare delle ambiguità, ma si presenta anche là dove il messaggio del legislatore, pur essendo limpido, si pone in contraddizione con gli orientamenti giurisprudenziali in precedenza maggioritari. Non va dimenticato, infatti, che l'affidamento condiviso ha ribaltato la scala di priorità adottata per decenni nei tribunali italiani, ove si era abituati a considerare l'affidamento a un solo genitore come la forma da privilegiare perché più adatta a limitare i danni che i figli subiscono dalla separazione dei genitori: adatta, in particolare, a contenere la conflittualità. Per tale motivo l'alternativa all'affidamento esclusivo, l'affidamento congiunto, veniva adottata, solo in un numero limitato di casi, ossia quando la conflittualità medesima era bassa. L'affidamento condiviso avrebbe dovuto risolvere tale limitato ricorso a forme di affidamento ad entrambi i genitori, ma così non è stato.
      Giova rammentare, a tale proposito, quanto sostenuto in una sentenza del tribunale di Napoli (28 giugno 2006), nella quale viene sviluppata una sorta di sillogismo: l'affidamento condiviso è la stessa cosa dell'affidamento congiunto; l'affidamento congiunto richiedeva il verificarsi di tutta una serie di circostanze, come la bassa conflittualità, l'elevata età dei figli e la piccola distanza delle abitazioni; dunque le stesse condizioni sono da porsi per concedere l'affidamento condiviso e tutta la giurisprudenza precedentemente stabilita può essere trasportata integralmente al nuovo regime normativo. Affermazioni, queste, nessuna delle quali è corretta. L'affidamento condiviso è ben diverso dall'affidamento congiunto; basti considerare che, proprio allo scopo di poter conservare ai figli un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori anche in assenza di collaborazione tra di essi, esso prevede l'esercizio separato della potestà dei genitori, limitatamente all'ordinaria gestione. D'altra parte, non è neppure vero che l'affidamento congiunto veniva sempre negato quando il conflitto era esplosivo. Una corrente di pensiero, minoritaria, ma in decisa crescita, ha infatti sostenuto che in tali circostanze è l'affidamento esclusivo che non può essere stabilito, poiché le profonde discriminazioni che introduce tra i genitori non possono far altro che accentuare i rancori. Ne è derivata una serie di sentenze che proprio sulla base dell'elevata conflittualità stabilivano l'affidamento congiunto (affidamento congiunto terapeutico). Segue da tutto questo che l'intero ragionamento è privo di fondamento giuridico, conclusione inclusa, così come i vari provvedimenti su di esso basati, implicitamente o esplicitamente. Trasportare la giurisprudenza per l'affidamento congiunto all'affidamento condiviso significa ignorare che con la legge n. 54 del 2006 si può escludere un genitore dall'affidamento solo per sue gravi e dimostrate carenze, che risultino di potenziale pregiudizio per il figlio. Si deve dimostrare, ad esempio, che si tratta di soggetto violento o psicolabile, alcolista o tossicodipendente. Viceversa, nello scorcio dell'anno 2006, a partire dall'approvazione della nuova normativa, si è assistito al proliferare di sentenze in cui l'affidamento condiviso veniva negato - utilizzando la stessa filosofia della citata sentenza del tribunale di Napoli - per motivi non direttamente attribuibili al soggetto da
 

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escludere, ma esterni, come la reciproca conflittualità o l'età dei figli.
      Allo stesso modo è stato travisato, o non compreso, un altro essenziale e qualificante aspetto della legge n. 54 del 2006: il mantenimento diretto. È questo lo strumento essenziale per rendere effettivo il diritto dei figli a un contatto significativo con entrambi i genitori, appartenente alla quotidianità. Esso è anche lo strumento per gratificare il figlio rassicurandolo sull'interesse che ciascuno dei genitori ha per lui attraverso l'assolvimento di compiti di cura a contenuto economico, nonché per liberargli gli spazi ricreativi che altrimenti sarebbe costretto a riservare all'incontro con uno dei genitori. Di tutto questo, purtroppo, la giurisprudenza non si sta ricordando e sono rarissimi, addirittura eccezionali, i provvedimenti che prendono in considerazione la valenza relazionale e sociale del mantenimento diretto. Al di fuori di questi pochi casi si rimane fermi all'assegno, un sistema pensato per la comodità degli adulti. Così pure in molti tribunali si considera inevitabile per il giudice l'omologazione di affidamenti esclusivi concordati tra le parti, senza che siano indicate le ragioni di pregiudizio a carico del genitore da escludere. Si tratta di una evidente violazione del diritto indisponibile del minore a un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori di cui al primo comma dell'articolo 155 del codice civile; ma in molti casi tale violazione è sfuggita all'attenzione degli organi compententi. Allo stesso modo è risultata frequente nella giurisprudenza la tendenza di alcuni tribunali a stabilire l'affidamento condiviso con modalità pressoché identiche a quelle di un affidamento esclusivo. In pratica, si tende a sostituire al concetto di bigenitorialità, privilegiato dal legislatore quale elemento fondante di tale interesse, il concetto di stabilità, che attribuisce la medesima funzione all'unicità della collocazione abitativa, e così facendo si giustificano gli esigui tempi di contatto stabiliti per il genitore «esterno». Una tesi, questa, ampiamente contestata in dottrina. Si veda, ad esempio, la posizione di Pierfrancesco Casula, presidente del tribunale di Rimini (relazione presentata ad Ancona il 4 dicembre 2006, presso il corso di perfezionamento in dritto di famiglia): «In sostanza l'interesse del minore rileva unicamente nell'ambito della regola di bigenitorialità e quindi non esiste un interesse del minore tout court puro e semplice: l'interesse del minore è la bigenitorialità, questo dice il nostro legislatore, questo è l'interesse del minore, nell'ambito di questo codificato e giuridicamente cogente principio legislativo di definizione dell'interesse del minore».
      In aggiunta, un'accoglienza del nuovo indirizzo parziale e disomogenea pone l'Italia in serio imbarazzo di fronte al trend che si manifesta con sempre maggiore evidenza negli altri Paesi del mondo occidentale, nei quali i princìpi della bigenitorialità vengono affermati e applicati con sempre maggiore vigore e incisività. Si veda, ad esempio, il caso del Belgio dove, per iniziativa del vice Primo ministro Madame Onkelinx, socialista, è stato introdotto e privilegiato addirittura l'affidamento paritetico: legge 18 luglio 2006, basata sulla doppia residenza, ispirata agli stessi concetti della legge francese n. 305 del 4 marzo 2002, sulla résidence partagée (residenza alternata), ma più avanzata di questa, poiché prevede, in più, che i tempi di permanenza presso i due genitori siano equilibrati. Anche questo è un tema che la normativa italiana non poteva ignorare, anche se, prudentemente, si è voluto limitare l'innovazione all'indicazione in sentenza di un doppio domicilio. Analoga riflessione è stata svolta a favore della mediazione familiare, uno strumento di supporto alla coppia che ovunque sta guadagnando consensi, ma che il Parlamento italiano aveva tolto dal progetto di legge iniziale nella definitiva stesura.
      È, dunque, nella presente proposta di legge, apparso necessario non solo rendere del tutto impossibile una interpretazione riduttiva della normativa e la sua sostanziale disapplicazione, ma anche cogliere l'occasione per completare la riforma, per introdurre quelle novità, assolute o relative, che possono dare maggiore compiutezza
 

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alla recente rilettura del diritto di famiglia.
      Passando ad un'analisi puntuale dell'articolato della presente proposta di legge, osserviamo che la lettera a) del comma 1 dell'articolo 1 esprime più efficacemente la priorità dell'opzione bigenitoriale, quale mantenimento il più possibile inalterato delle condizioni antecedenti la separazione, e rende più evidenti e inderogabili i limitati ambiti di applicazione dell'affidamento esclusivo (articolo 155-bis del codice civile).
      La lettera b) del medesimo comma tende a risolvere la non circoscritta tendenza, emersa in giurisprudenza, a concedere l'affidamento condiviso svuotandolo al contempo dei suoi essenziali requisiti, come il diritto del minore a un rapporto «equilibrato e continuativo con entrambi i genitori» e a ricevere «cura», oltre che educazione e istruzione, da ciascuno di essi: condizioni che evidentemente non si realizzano se il figlio trascorre con uno di essi poco più di due fine-settimana al mese. Poiché tale limitazione è conseguenza diretta dell'attribuzione ai figli di un'unica appartenenza domiciliare, la nuova formulazione evidenzia la scelta a favore di due case, pur di continuare ad avere due genitori.
      Il comma 2 si preoccupa di rendere effettiva la tutela del diritto dei figli a mantenere rapporti significativi con i due ambiti parentali al completo, ovviando al problema di una lettura dell'articolato che sembrava voler riservare ai nipoti la possibilità di tutelare il loro rapporto con i nonni a condizione di essere loro stessi ad attivarsi; cosa alquanto difficile, visto che manca loro la capacità di agire, nonché le risorse economiche per farlo.
      Il comma 3 è destinato a precisare che nei casi di affidamento esclusivo la potestà sarà esercitata solo dal genitore affidatario; un aspetto che aveva fatto molto discutere.

      Il comma 4 rende del tutto inequivoca, e quindi ineludibile, la prescrizione a favore del mantenimento diretto, che dovrà essere stabilito ogniqualvolta sia chiesto, anche da un genitore solo. Inoltre, mette ordine nell'elenco dei parametri di cui il giudice deve tenere conto per fissare un eventuale assegno. La norma attuale, infatti, mescola ciò che serve a stabilire il costo totale del figlio con quanto serve a scalare dall'eventuale assegno forme dirette di contribuzione (come il lavoro di cura).
      L'articolo 2, sia nella rubrica che nel primo comma novellato dell'articolo 155-bis del codice civile, afferma in termini prescrittivi che solo ove si verifichino determinate condizioni, l'onere della cui prova spetta all'accusa, si può escludere un genitore dall'affidamento. Pertanto resta fuori discussione che al giudice non è data facoltà di scegliere a sua discrezione tra due istituti, l'affidamento condiviso e quello esclusivo, ma solo di proteggere il minore da uno dei genitori, qualora l'essere a lui affidato possa arrecargli pregiudizio. Il comma 2 determina le modalità di attuazione dell'affidamento esclusivo.
      L'articolo 3 precisa la mancanza di automatismi nella decadenza eventuale dalla titolarità della casa familiare, qualora il genitore assegnatario si risposi o conviva more uxorio. In questo modo sarà valutato caso per caso se al figlio conviene o meno l'ingresso nella casa familiare di un nuovo adulto.
      L'articolo 4 risolve un'altra questione oggetto di intenso dibattito: l'attribuzione al figlio maggiorenne della titolarità dell'eventuale assegno che è stato stabilito per il suo mantenimento. La formulazione proposta permette di tutelare gli eventuali danni subiti dal genitore prevalentemente convivente, legittimando anche lui, in caso di inerzia del figlio, ad attivarsi contro l'inadempienza dell'altro. Al tempo stesso lo tutela disciplinando anche i rapporti con il figlio, prevedendo che questi debba concordare con il genitore il proprio eventuale contributo alle spese e alle cure domestiche.
      L'articolo 5, al comma 1, lettera a), rafforza la posizione del figlio minore, esaltando il peso delle sue parole ogni volta che è disposto l'ascolto. Stabilisce anche le modalità consigliabili per procedere all'ascolto del medesimo. La lettera b)
 

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del medesimo comma 1 permette di spostare le norme sulla mediazione dal codice civile a quello di procedura civile (articolo 6).
      L'articolo 6 restituisce alla mediazione familiare il riconoscimento pieno che aveva ricevuto nella penultima stesura del citato progetto di legge da parte della Commissione Giustizia della Camera dei deputati. L'impoverimento di tale strumento è stato concordemente biasimato da tutti gli operatori del settore, mentre il passaggio preliminare a puro scopo informativo sulle potenzialità di un eventuale percorso di mediazione ha già dato ottime prove nell'esperienza di altri Paesi, come la Norvegia. Gli operatori del settore avevano reiteratamente segnalato i vantaggi derivanti dal porre il passaggio informativo prima di qualsiasi contatto con la via giudiziale. Questo, tuttavia, risultava incompatibile con l'obbligo che il giudice tenti sempre e comunque di riconciliare le parti. Ma, poiché nella prassi dei tribunali questo tentativo risulta una mera formalità, rimettere tale tentativo al personale medesimo del centro di mediazione sarebbe stato più ragionevole e appropriato, data la mancanza di preparazione specifica del magistrato; ciò nonostante, si è ritenuto prematuro toccare una prassi consolidata con un intervento decisamente «rivoluzionario» sul piano delle procedure.
      L'articolo 7, integrando la precedente previsione dell'articolo 709-ter del codice di procedura civile, interviene in tutte quelle situazioni in cui un genitore compie unilateralmente atti che richiedono l'accordo con l'altro (ad esempio, cambiando residenza e portando il figlio con sé, oppure iscrivendo il figlio ad istituti scolastici di propria esclusiva scelta), azzerando tali iniziative, ovvero nel caso, in cui un genitore abbia costruito ad arte situazioni ostative al contatto del figlio con l'altro genitore. In questo caso si è ritenuto che non fosse sufficiente la previsione di un meccanismo punitivo o risarcitorio del danno, ma che andasse prioritariamente disposto, ove possibile, il ripristino dello stato antecedente, ovvero interventi mirati alla restituzione o alla compensazione di quanto indebitamente sottratto o negato (si pensi, ad esempio, a giorni di frequentazione saltati).
      L'articolo 8 aggiorna in conformità alla nuova legge n. 56 del 2006 la formulazione dell'articolo 317-bis, secondo comma, del codice civile, relativo all'esercizio della potestà su figli di genitori non coniugati.
      L'articolo 9, infine, risolve il dilemma dell'attribuzione della competenza per l'affidamento dei figli di genitori non coniugati, in dubbio tra il tribunale ordinario e il tribunale per i minorenni. L'indicazione è a favore del primo, in quanto si ritiene preferibile che il dibattito si svolga in una sede ove sono più ampie le garanzie per le parti: una precauzione che appare necessaria, atteso il principio del rispetto dell'interesse del minore che informa tutti i provvedimenti in materia.
 

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